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DELTA del PO
Trekking di 110 km. in 3 giorni e mezzo
esplorando in kayak da mare
IL GRANDE DELTA
Delta del Fiume Po
Mare Adriatico Settentrionale
Eko-foto e mappe © Testo di Lorenzo Molinari © Eko-prefazione e conclusione.
Eko-prefazione
Posso comprendere che Lorenzo, cresciuto canoisticamente su fiumi cristallini e ricchi di vitalità alpina, veda nel Grande Delta più la morte del fiume che la nascita di nuova vita.
- Testo di Lorenzo**
Il fiume trasuda
olio e catrame
le chiatte scivolano
con la marea che si volge…sospingono
tronchi che vanno alla deriva…Thomas Stearns Eliot, da “The waste land”
Non posso ingannarmi, convincendomi di aver attraversato luoghi che ricorderò per la loro bellezza. Al di là che possa non piacermi ciò che per altri è bello, credo di saper cogliere la bellezza ma nel morente per prima cosa si percepisce essenzialmente altro.
Quando il fiume cessa di essere, cessa di scorrere, quando la sua vitalità è ormai venuta meno, quando le sue acque hanno perso da tempo trasparenza e lucentezza, imputridite e inquinate da liquami e sostanze chimiche riversate senza posa da civiltà che prolificarono e prolificano per le centinaia di chilometri delle sue sponde e lungo quelle dei suoi affluenti, quando alle sue acque non resta che il saltuario ribollio di un lento fermentare, perché svuotate di ogni respiro, anche la vita che fino allora accoglieva si è persa a valle. Le acque opache e torbide si disperdono per fermarsi in lagune paludose e melmose, in attesa di essere risucchiate e sparire oltre la foce, dove il fiume dissolverà ogni traccia di quel suo lungo e maestoso scivolare dalle montagne innevate fino a questa desolata terra. Come ombra di se stesso, attende stanco un cambio di marea, che lo cancellerà definitivamente, per quanto speri ancora e sempre che lo rapisca il traboccare di una sua stessa piena, evitandogli la fine peggiore, il disperdersi in vapore nell’aria, come cenere di morti, quando il sole incessantemente picchia sullo sfavillante specchio, non consentendo neppure quell’ultimo attimo, sussulto, nell’incontro mortale con il tanto atteso mare.
Qui nel delta si deposita finalmente ciò che gelosamente ha macinato e trasportato in sospensione dalle vette alpine, creando scanni, delimitando immense sacche salmastre, in cui sovente anche la canoa s’insabbia, se non si seguono le briccole dei canali periodicamente dragati. Granelli di nulla che vanificano oggi sforzo umano nel mantenere l’esistente, spostando inevitabilmente i confini sempre più avanti, prolungando l’agonia verso un mare anch’esso arenato su se stesso, nel desolante monito della lanterna vecchia al Mezzanino, neppure troppo antica, ormai inglobata a un paio di chilometri dal mare e privata della sua originaria funzione di guida.
Il fiume ha trasportato fin qui una memoria lontana e antica, disciolta e impercettibile, da cui affiorano ricordi e sensazioni melanconiche di luoghi ormai passati e dimenticati; così come mutato è il corso stesso del fiume e del suo sbocco, nel trasportare sempre nuove acque, accogliendo il passaggio di barche e chiatte destinate anch’esse a passare, passare e passare, in quell’eternità che è propria del fiume e che per noi naviganti si concilia solo con l’esserci ora.
Questo è il delta: acqua e terra di confine; spazio salmastro dove altre specie di pesci nuotano cieche, strisciano lungo il fondo, si mimetizzano nel fango o, smarrite e soffocate, saltano all’aria rivelando la loro presenza a becchi affamati e veloci, che non si fanno mancare la preda.
L’uomo ha cercato per millenni di fermarvi il tempo, di non farlo morire proprio qui sul delta, uno spazio a se stante, non solo e non tanto geograficamente, quanto temporalmente. Ma anche qui il destino ultimo del morente si sta consumando: la fabbrica naturale di canneti, per quanto florida, è stata abbandonata, sostituendo la canna delle capanne e dei ricoveri con materiali sintetici, preferendo i tessuti plastici come riparo per il sole e i termoplastici per produrre contenitori. I tronchi, trasportati abbondanti dalle piene pluviali e depositati sugli scanni, non saranno più né legna da ardere, né sostegni immersi di palafitte e tanto meno diventeranno assito nella barca del cozzaro con cui andare a coltivare il mitilo, lungo i fili sommersi che pendono da tralicci disseminati nelle sacche, o del vongolaro con cui raggiungere la sua area di secca, per rastrellare il fondo e raccogliere il bivalve prelibato.
Chilometri e chilometri di argini, fino all’orizzonte, costruiti con pesanti blocchi provenienti da cave montane e quindi lontane e quindi a caro prezzo e quindi – viene facile pensare – con tutti gli annessi e connessi derivanti dagli appalti per la realizzazione di queste opere monumentali, il cui misero e fallimentare intento sta nel mantenere una precaria stabilità nella salinità delle acque, nel continuo scambio tra mare e fiume, per permettere l’antica industria del mollusco a quelle ormai poche persone che a fatica ci cavano un magro stipendio. Archeologia industriale, che non si capisce perché sia ancora tenuta in vita, quando l’investimento complessivo supera di gran lunga il guadagno, e non credo che avvenga per una politica specifica, quanto per incrociarsi di circostanze confluenti, e non perché questa industria valga, anche storicamente, più di quella del baco da seta o di tante altre ormai perdute, avendo il mondo il suo corso, il verso a cui prima o poi ci si deve non tanto arrendere ma inevitabilmente adeguare.
La ciclopica e spettrale ciminiera dell’Enel è il monumento al disastro ambientale del Delta. Testimonianza d’inquinamento e di morte* – Sacca del Canarin – Polesine Camerini
E verrà dell’altro, del nuovo, che, se aggrappati all’antico non sapremo traguardare, certificherà l’ennesimo fallimento. Già ci aveva pensato l’Enel con la centrale termoelettrica di Porto Tolle, nel cuore del delta, ora in spettrale abbandono, dopo aver causato numerose morti per l’inquinamento con la sua torre funeraria in cemento armato di oltre 250 metri, visibile ovunque, che fino a tempi recenti era il manufatto più alto d’Europa, lo scempio per eccellenza in un’area tra le più selvagge. Oggi troppo costoso da demolire, da cancellare, e così non resterà che trovarne una degna riqualificazione ma in questi luoghi apparirà per sempre in penoso contrasto, una ferita aperta.
Come se non bastasse, lo sfruttamento del sottosuolo del delta avvenuto in passato, avviato per la presenza di gas fossili, ha progressivamente affondato intere aree un tempo agricole, con i loro fabbricati rurali, cascine e magazzini per la raccolta dei frutti della terra, costringendo all’abbandono e alla migrazione al di là degli argini, dove la terra è fertile per le bonifiche, o più spesso verso mete lontane in cerca di fortuna. Ma ciò che gli argini hanno artificialmente confinato, appare sradicato e forzosamente altro, non più appartenente alla cultura, al divenire del delta.
Il delta è zona depressa e, in quanto abbandonato, è delta e niente più. La connotazione umana, economica e sociale, che all’uomo piace tanto dare a ogni spazio: invadendolo, frazionandolo, accatastandolo e sfruttandolo, qui ha perso senso più che altrove, perché ciò che per noi è connotabile, per la natura semplicemente è, in attesa di riprendere il suo corso, di riappropriarsi prima o poi di ciò che le è stato sottratto, un battito d’ali per i tempi del mondo.
Ciò che è abbandonato può diventare facile terra di conquista d’imprenditori interessati più al ritorno economico dell’investimento che alla salvaguardia del delta, e l’impatto ambientale non dipende solo dal tipo di attività ma anche dalla dimensione che tale attività assume. Potrebbe proliferare il turismo in battello, il birdwatching, potrebbero realizzare porti per barche da diporto, villaggi turistici, stabilimenti balneari, parchi acquatici, parcheggi attrezzati per camperisti e chissà cos’altro. Tutto ciò potrà riportare luce al delta, rilanciandone l’economia, ma certamente io, Marco Ferrario e Michele Varin non avremo alcun dubbio a puntare altrove la prua della nostra canoa, per provare ancora quel leggero fruscio che accompagna lo scorrere della carena sull’acqua. Stefano Barbiero, canoista e conoscitore del delta, non solo perché vi è nato ma perché ama la sua terra, è da tempo interessato al recupero economico a livello turistico di alcune aree dismesse, tra cui la ex centrale elettrica dell’Enel (per chi fosse interessato alle sue proposte: stefano.barbiero@teletu.it).
Eko-mappe Delta del Po
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1° giorno. Siamo partiti dalla punta di Barricata lungo il Po delle Tolle e abbiamo risalito verso Nord per i labirinti del delta, d’altronde l’andare per il delta si apprezza proprio non prendendo la via maestra ma perdendosi per canaletti e canneti, esplorando l’esplorabile, pur sempre ricordandosi la via da cui si proviene in quel dedalo senza approdi, anche perché le mappe, per quanto si possa disporne di recenti, non sono mai fedeli a una realtà mutevole a ogni piena e alluvione.
Siamo passati per la Tenuta Daccò, abbiamo attraversato la Busa del Bastimento per entrare in Laguna di Canarin e, vagabondando per canaletti, spesso a fondo cieco, siamo giunti ai laghetti del Girotto, sempre in vista dell’orribile mostro dell’ex centrale dell’Enel.
A causa del vento e del freddo, abbiamo pagaiato senza sosta per scaldarci. Ci siamo fermati per una veloce merenda su una spiaggetta di conchiglie presso un vecchio barcone, come quelli del ponte di Bereguardo sul Ticino, e su cui una gentile coppia aveva costruito negli anni una casetta.
Una seconda sosta l’abbiamo fatta lungo la Busa Dritta, al faro di Punta Maistra, brutto come una ciminiera, abbandonato da suo custode e famiglia, dopo l’avvento dell’elettronica.
Poi per Batteria alle case allagate, spettrali cascine e costruzioni sprofondate e, di conseguenza, sommerse.
Anche qui a girovagare in cerca di un’uscita, dato che la bassa marea impediva le rotte più logiche, fino a vedere in lontananza un barcone che transitava oltre un canneto, indicandoci dove andare e, trovato un canale con un buon fondale, fino a uno sbocco sul mare tra lo Scanno del Gallo e quello del Burcio.
All’arrivo sulla lunga lingua di spiaggia deserta e desolata dello Scanno del Gallo (o del Burcio), appena prima della Busa di Tramontana, un forte vento incontrastato da terra ci ha fatto lottare per piantare le tende, intanto che Stefano Barbiero ci salutava, prendendo il mare come via di ritorno, dopo averci guidato per tutto il primo giorno.
Sotto un cielo plumbeo, che fortunatamente ci ha risparmiati fino al calare della notte, il vento si è preso la rivincita impastandoci la bocca di minuti granelli sabbia. Ci siamo preparati una di quelle semplici cene, che sa apprezzare solo chi ha trascorso tutta la giornata a pagaiare o a camminare, mentre una volpe attraversava la spiaggia e si nascondeva nella vegetazione oltre la duna, e chissà com’era giunta su quell’isolotto!
In questo periodo dell’anno le zanzare non sono ancora proliferate e anche per questo non abbiamo faticato ad addormentarci, dopo circa trentacinque chilometri percorsi in lungo e in largo su fondali spesso tanto bassi da arenarci e avendo dovuto contrastare correnti, maree e il vento teso con canoe pesanti di tutto il necessario per quattro giorni.
2° giorno. La mattina il mare era poco mosso, così abbiamo preferito tornare verso Sud pagaiando sotto costa e, come ci siamo allontanati dal litorale per evitare i frangenti, a non più di un centinaio di metri da riva, siamo stati accolti da un branco di delfini adulti, che pascolava forse in cerca di prede tra le reti lasciate in mare dai pescatori.
Superata la Bocca del Po delle Tolle, lasciato il mare, ci siamo fermati a mangiare sulla spiaggetta riparata appena oltre Barricata, di fianco agli approdi del porticciolo dei pescatori.
Pagaiando lungo la riva della Sacca di Scardovari, abbiamo superato le palafitte allineate dei cozzari e attraversato la Sacca tra i filari degli allevamenti di cozze,
dirigendoci poi verso la Sacca di Bottonera.
Superato il Po di Gnocca, abbiamo girovagato tra i meandri delle acque interne e tra i canneti per ammirare la natura.
Dopo aver percorso una quarantina di chilometri, il secondo giorno si è concluso sulla magnifica spiaggia del Bacucco, invasa da tronchi e coperta di innumerevoli conchiglie.
Nel mese di maggio è facile trovare lungo le spiagge uova di uccelli, anche prive di un vero è proprio nido e che apparentemente sembrano abbandonate a se stesse, e non a causa della presenza di noi canoisti.
Abbiamo cenato seduti al tavolo di una costruzione estiva, realizzata con tronchi spiaggiati da villeggianti che approdano in giornata con barche a motore, brindando con una dovuta bottiglia di vino rosso. Il vento, che ancora non ci dava tregua, ma ora proveniva dal mare, aveva finalmente spazzato via le nuvole, offrendoci un cielo a sera illuminato dal plenilunio, mentre sul resto del Nord Italia e sul Tirreno pioveva a dirotto.
3° giorno. Ripreso il largo tra i canneti, siamo arrivati, attraversando il Po di Goro, al Faro omonimo, tuttora abitato e meta turistica nella stagione estiva, per la presenza di un bar-trattoria e della famosa spiaggia dell’amore.
Approfittando della chiusa ancora aperta, regolata in base dal flusso delle maree, per evitare che si alteri la salinità delle acque interne, siamo entrati nel Mezzanino.
kayak da mare all’Ultima Spiaggia – l’estrema punta occidentale dello scanno di Goro (o di Piallazza)
Passando per la lanterna vecchia e navigando tutta la lunghezza della valle di Gorino, fino alla Sacca di Goro, abbiamo raggiunto lo Scanno di Piallazza, lingua di sabbia sul finire a pelo d’acqua, anch’essa coperta di tronchi e conchiglie e, ovviamente, anche degli immancabili contenitori e bottiglie di plastica, per quanto mi sembra che il loro numero sia in progressivo calo.
kayak da mare all’Ultima Spiaggia – l’estrema punta occidentale dello scanno di Goro (o di Piallazza)
Una breve pausa per riposarci e mangiare qualcosa, per poi prendere il largo sul mare e navigare verso Nord-Est con il vento in parte alle spalle, ma non più violento come il primo giorno.
Tornati al Faro di Goro e surfando per accedere al Po di Goro, ci siamo inoltrati per i canali tra i canneti per raggiungere nuovamente la spiaggia dove avevamo trascorso la notte precedente.
Avendo pagaiato solo venticinque chilometri, abbiamo piantato le tende già nel primo pomeriggio e ci siamo goduti del fascino di quell’insolita spiaggia.
Camminando lungo la riva io raccoglievo conchiglie, tra cui un raro e magnifico esemplare di una dozzina di centimetri di Stramonita, un Gasteropode del genere Murex, mentre Marco cercava ceppi di forme particolari, che caricati sulla coperta delle canoe, ha portato a casa come cimeli.
4° giorno. Smontato il campo con calma, abbiamo pagaiato per canneti e canali fino a tagliare la Sacca di Bottonera e, seguendo lo Scanno di Scardovari, siamo arrivati dopo poco meno di una ventina di chilometri al porticciolo dei pescatori di Barricata, a breve distanza dalla macchina.
Fine Trekking – Sbarco alla spiaggietta della Sacca Scardovari (zona Barricata) – – kayak carichi di legna.
Prima di rientrare a casa, non è mancato un brindisi di prosecco con un discreto piatto di spaghetti alle vongole da Renata, una delle trattorie della zona, dove purtroppo non si respira più quell’atmosfera genuina come appare nelle foto sulle pareti, e non solo per l’arredamento, anche per il menù e le ricette, un po’ leziose, come forse predilige il palato del turista.
Testo: Lorenzo Molinari ©
Foto: Marco (Eko) Ferrario ©
1/4 Maggio 2015 –
Lorenzo Molinari, Michele Varin e Marco (Eko) Ferrario
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Eko-conclusione
Ringrazio l’amico Stefano Barbiero, kayaker del Delta (di Porto Tolle), che con passione ha vissuto insieme a noi il primo giorno di questo trekking.
Stefano è una eccellente guida e un profondo conoscitore del Delta Veneto, il suo contributo è stato per noi un arricchimento necessario e utile per comprendere meglio il Delta e questa avventura.
a distanza di anni, è la terza volta che in Kayak da Mare, torno per qualche giorno a pagaiare e vagabondare nel Delta del Po.
Più a nord, lungo la riva, c’è un relitto di una barca da pesca che il tempo sta lentamente consumando.
Alla punta dello scanno di Goro (o di Piallazza), su quella che mi piace definire l’Ultima Spiaggia, ci fermiamo a pranzare.
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Su di esse ci sono pochi rifiuti di plastica, le ricordavo più sporche in anni passati, forse i bagnanti, come anche i canoisti, hanno imparato a portare via i loro rifiuti.
Ci ha entusiasmato l’incontro con un gruppo di delfini che gironzolavano nei pressi delle reti a mare, al largo dello Scanno Boa e guizzando fuori dall’acqua, erano ben più veloci di un semplice clik delle nostre macchine fotografiche.
Ci è piaciuto e incuriosito, gironzolare nelle lagune, in particolare tra le case e di magazzini allagati e ormai diroccati e divenuti archeologia del Delta.
Ci è piaciuto quel mazzolin di fiori gialli cresciuto tra i rami di un albero arenato nel mezzo della corrente del Po di Bastimento.
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Non c’è piaciuta la desolazione del faro di Punta Maistra, sulla Busa Dritta.
Un brutto faro, abbandonato e in rovina, triste e angosciante. Come dice Stefano: “simbolo della rassegnazione dell’uomo del Delta”. Immagino la tristezza nel cuore di Stefano, quando lo abbiamo fatto sbarcare qui, ha dovuto ricordare gli anni della sua gioventù, quando era accolto nel giardino ben tenuto dalla famiglia del guardiano del Faro, con l’orto e gli alberi da frutta e con gli attracchi in ordine.
Anche se il Delta muta ad ogni piena, rimane questo il miglior documento: utile, ben fatto e necessario per chi, amante della natura, vuole conoscere intimamente e affrontare serenamente il Delta a remi.
Mi piace concludere con queste parole d’amore che Fabio Roccato dedica al Delta e alla Canoa.
Amo il Delta
perché placa il mio desiderio di solitudine.
Amo il Delta
perché mi riserva angoli dove dimenticarmi dei mali dell’umanità.
Amo la canoa
perché mi fa sentire parte integrante del Delta:
canna tra le canne,
acqua tra le acque,
uccello tra gli uccelli.
Note –
* Il disastro ambientale di Porto Tolle – http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/25/processo-enel-porto-tolle-scaroni-ha-non-indifferente-capacita-a-delinquere/1133170/
** Il racconto di Lorenzo Molinari (in PDF), con altre belle fotografie del nostro trekking, pubblicato anche su CUS Milano Canoa.
*** Michele Varin, racconta sul suo blog il Delta del Po – maggio 2015, aggiungendo significative testimonianze fotografiche.
– Claudio Villani, dopo aver conosciuto il Delta in kayak, ha voluto goderselo anche dall’alto. Ecco il suo volo di 3 minuti in Foce di Busa Dritta, sorvolando il Faro di Punta Maistra per raggiungere la spiaggia a mare: https://www.youtube.com/watch?v=DS3TzgQoIE4. Magnifico!
Arcipelago di LUSSINO
In kayak da mare, esplorando e bivaccando tra le isole del Golfo del Quarnaro (Quarnero) che si protendono verso il mare aperto.
Arcipelago di Lussino (Losinj)
Mediterraneo
Mare Adriatico Settentrionale – Croazia
Introduzione.
Ricordo il primo viaggio a Lussino, pochi anni fa. Trascorremmo alcuni giorni pagaiando sotto una costante pioggia, montando e smontando tende di giorno in giorno sempre più inzuppate d’acqua. Al terzo giorno, col meteo che annunciava ancora pioggia, sospendemmo il nostro viaggio. Quei giorni hanno comunque lasciato un ricordo di luoghi affascinanti, ricchi di una vegetazione rigogliosa e di un mare davvero cristallino, nonostante il riflesso grigio di un cielo sempre scuro.
Abbiamo cercato di immaginare i colori di questo arcipelago in giornate di sole; l’immaginazione sommata all’irrefrenabile curiosità di esplorare le isole più lontane disseminate al largo del mare Adriatico, ha fatto crescere in noi il desiderio di affrontare un nuovo viaggio verso queste isole; ma la decisione di partire è stata improvvisa.
Fino a due giorni prima della nostra nuova partenza, i progetti erano quelli di fare un trekking marino all’arcipelago di Hyeres, nella Francia mediterranea, ma le previsioni meteo marine non sembravano incoraggianti, la burrasca prevista sul Golfo del Leone avrebbe condizionato il mare ad est, interessando anche le isole Hyeres, inoltre i forti temporali previsti avrebbero contribuito a complicare ulteriormente il nostro viaggio, e allora … consultando con attenzione le mappe meteo-marine del Mediterraneo, notammo che la vasta perturbazione che avrebbe condizionato la fascia geografica che dalla Francia, attraverso il nord Italia raggiunge la penisola Istriana e i Balcani, lasciava, come spesso accade, una zona di alta pressione sulle isole Adriatiche più lontane dal litorale croato, dove il clima risente maggiormente del benefico influsso marino.
Un rapido consulto tra noi e alla vigilia della partenza decidiamo di cambiare la meta del nostro viaggio: il sole dell’Arcipelago di Lussino ci attende.
I giorni a nostra disposizione che erano più che sufficienti per esplorare le Isole Porquerolles, a Lussino ci costringono a tappe molto intense per poter effettuare un trekking nautico completo dell’intero arcipelago. Ideale sarebbe stato avere a disposizione ancora un paio di giorni per effettuare qualche piacevole escursione a terra e tappe in kayak più brevi; ma il nostro viaggio è stato comunque molto soddisfacente.
Anticipiamo la partenza in piena notte e al mattino siamo già in Istria, pronti per imbarcarci con l’auto sul traghetto Jadrolinija che dallo scalo di Brestova conduce a Porozina, sull’Isola di Cres (Cherso).
Ci sono una dozzina di corse giornaliere che in venti minuti attraversano il Golfo del Quarnaro nel punto in cui è più stretto e dove l’Isola di Cherso (Cres) è più vicina alla penisola Istriana.
Sbarcati a Porozina, percorriamo la buona strada di montagna che percorre l’Isola di Cres da nord a sud. Fatti poco meno di una sessantina di chilometri in circa un’ora, arriviamo a Osor, da dove, secondo i nostri progetti, avremmo dovuto mettere i kayak in acqua, ma il mare è mosso e c’è molto vento da nord per cui le onde frangono lungo la costa nord di Lussino, non avremmo certo potuto esplorarla con tranquillità. La Bora, che ha un poco perso la forza dei giorni precedenti, ora soffia da nord, è un annuncio di tempo migliore per le prossime ore.
Prima del ponte sul canale di Osor, imbocchiamo una deviazione a destra e ci fermiamo nel parcheggio sterrato vicino alla spiaggia ad osservare il mare. La spiaggetta ai nostri piedi avrebbe dovuto essere la nostra base di partenza, invece decidiamo di riprendere l’auto, oltrepassare il ponte sul canale e arrivare così sull’Isola di Lussino.
Il ponte stradale girevole di Osor si apre tutti i giorni alle ore 9 e alle ore 17 per consentire alle imbarcazioni di passare da un versante all’alltro riducendo considerevolmente i tempi di navigazione ed evitando così alle barche la circumnavigazione dell’isola. La corrente nel canale è piuttosto intensa.
L’ARCIPELAGO DI LUSSINO
Nell’altichità le isole di Cherso e Lussino erano unite in un’unica isola dal nome di Apsyrtides (oggi è il nome attribuito a tutto l’arcipelago nord Adriatico).
Apsyrtides, da nord a sud, si allungava per un centinaio di chilometri separando il golfo del Quarnaro da quello del Quarnarolo. Ad Osor, nel punto più stretto dell’isola, i romani scavarono il canale che scompose Apsyrtides nelle due isole di Cherso e Lussino.
Dopo la caduta della Repubblica Marinara di Venezia, le isole passano sotto la dominazione Austro-ungarica, poi dal 1918 al 1943 sotto l’Italia, nel 1945 furono annesse alla Jugoslavia e infine dal 1991 fanno parte della Croazia.
L’Isola di Lussino ha una lunghezza di 33 km. e un perimetro costiero di 113 km.
Nella sua parte settentrionale si trova la montagna più alta dell’arcipelago: Televrin (Osorscica) di 588 metri.
Le altre isole più significative, sulle quali abbiamo fatto campeggio nautico sono:
Ilovik (isola dell’Asinello) che ha un perimetro 14 km.,
Susak (Sansego) con un perimetro di 12 km.
e Unije, la più grande dopo Lussino, con un perimetro di 37 km.,
inoltre siamo sbarcati sulle Isole Canidole (Vele e Male Srakane), dai perimetri rispettivamente di 7,5 km e di 4 km.
e abbiamo sostato sulle isole di Vele e Male Orjule con perimetri rispettivamente di 6 e 4 km..
L’arcipelago è composto anche dall’isola di Sv. Petar (San Pietro) che ha un perimerto di 6,6 km., dall’isola di Koludarak con perimetro km.5,5, dalle isole di Kozijak, di Murtar e da altri isolotti minori.
La costa dell’arcipelago è molto articolata e ricca di scogliere nelle quali si insinuano baie e spiagge spesso solitarie e selvagge.
Il mare è particolarmente pulito, limpido e cristallino, e la terra è arricchita da una rigogliosa vegetazione.
L’unico aspetto negativo sono i rifiuti plastificati scaricati dal mare sopratutto nelle cale più esposte alla bora (nord/est).
Dal ponte sul canale di Osor, la strada conduce ancora più a sud. La percorriamo per una ventina di chilometri e dopo mezz’ora ci fermiamo in località Privlaka, presso la spaccatura artificiale che congiunge il Canale di Lussino con il golfo del Porto di Mali Losinj. Il piccolo canale di Privlaka permette alle imbarcazioni di passare tra i due versanti dell’isola. Il ponte stradale che lo scavalca è girevole e viene aperto alle ore 9 e alle ore 18 per far passare le barche, restando aperto per circa mezz’ora, tranne quando soffia forte la bora o quando le onde portate dallo scirocco entrano impetuose nel canale creando una corrente di diversi nodi che renderebbe troppo rischiosa la navigazione.

Isola di Lussino - la spiaggetta nei pressi del canale di Privlaka - luogo di partenza e arrivo del nostro trekking nautico (E)
Subito dopo il ponte sul canale, sulla sinistra, c’è uno sterrato che per noi è un comodissimo parcheggio libero dove lasciamo l’auto in sosta dal 2 al 5 giugno 2011.
La minuscola spiaggia tra le rocce, ai piedi del nostro parcheggio, è comoda per l’imbarco, ma prima di calzare i kayak facciamo una passeggiata sul lungomare di Mali Losinj, che dista poche centinaia di metri e ci fermiamo a pranzare.
Sul finire del 19° secolo il piccolo paesino di Mali Losinj (Lussinpiccolo) divenne una importante città commerciale e marinara sede di una scuola nautica e di cantieri; capitani ed armatori costruirono qui le loro dimore. Nel secolo scorso la ricca aristocrazia e nobiltà austro-ungherese realizzò sontuose ville e grandi parchi, contribuendo a trasformare la zona di Mali Lusjni in un rinomato centro turistico. Il più grande centro abitato delle isole adriatiche, che oggi conta 7000 abitanti, in primavera e in autunno è un paese tranquillo, ma si affolla notevolmente nei mesi di luglio e agosto. E’ frequentato da persone che amano il mare e il contatto con la natura; appassionati di trekking terresti e nautici e di naturismo, trovano su quest’isola un ambiente ideale per escursioni nel verde delle pinete o nell’azzurro delle sue acque, oppure amano rilassarsi sulle spiagge e sulle scogliere assolate.
La BORA
Per navigare nel Quarnaro è necessario essere coscienti che la situazione meteo può essere molto mutevole e impetuosa a causa della Bora, il temibile vento che scende dalle Alpi e scontrandosi coi massicci montuosi nell’entroterra di Abbazia (Opatija) e di Fiume (Rijeka) si tuffa con violenza nelle acque del golfo del Quarnero, raggiungendo la forza di un’uragano.
Prima dell’arrivo della Bora le vette dei monti sopra Fiume e Abbazia si coprono di caratteristiche nubi, all’intensificarsi di queste nubi anche il vento aumenta la sua intensità e dalla bonaccia si può passare in poco tempo a venti di oltre 100 km/h che sollevano un mare con onde corte, incrociate e frangenti e nell’acqua si creano vortici e correnti di 4-5 nodi.
La Bora proviene dal 1° quadrante, nasce a Nord/Est e se porta cielo sereno si sposta a Nord, mentre annuncia il cattivo tempo quando si sposta a Est.
Quando la Bora inizia con cielo coperto diminuisce la sua forza solo quando sarà tornato il sereno, quando invece inizia col cielo limpido, annuncia una perturbazione in arrivo.
D’inverno è sconsigliabile programmare lunghe escursioni in kayak in quanto la Bora è un fenomeno frequente e può durare anche un paio di settimane consecutive, anche se quella con forza d’uragano dura un paio di giorni.
In estate la Bora è meno frequente e comunque non dura più di un paio di giorni.
La sua maggiore forza è al mattino verso le ore 9 e al pomeriggio dalle ore 18 fino alle ore 22; di solito a mezzogiorno e a mezzanotte si attenua o scompare.
La Bora essendo un vento che cade dall’alto abbattendosi sull’acqua, raggiunge la sua massima violenza sottocosta ai piedi delle montagne, perciò è meglio evitare di rifugiarsi nelle baie prive di vegetazione o con alberi contorti, sono quelle dove la Bora picchia più forte.
L’altro vento importante è lo Scirocco che arriva da Sud/Est portando cattivo tempo e onde alte e potenti che si formano percorrendo da sud tutto l’Adriatico e scaricano la loro forza nel Quarnaro e ancor di più nel Golfo del Quarnarolo e in mare aperto.
Contrariamente alla Bora, lo Scirocco è un vento moderato e il mare prima di arrivare in burrasca, si forma gradualmente lasciando tutto il tempo per cercare un rifugio sicuro. Si trasforma in burrasca non prima dei due giorni dal momento in cui inizia a soffiare; in inverno può durare molti giorni mentre in estate non supera il terzo giorno.
Prima di intraprendere una escursione in kayak è sempre importante ascoltare il bollettino del mare, lo è ancor di più quando si naviga nel Quarnaro.
Il VHF in lingua italiana va sintonizzato sul canale 68, oppure sul canale 69 e 73 in lingua croata intervallata dall’inglese.
1° giorno – Dall’Isola di Lussino all’Isola di Ilovik passando per le Isole Oriule
Pochi metri separano l’auto parcheggiata dalla piccola spiaggia di Privlaka, dove prepariamo i kayak per quest’avventura.
E’ ormai pieno pomeriggio quando iniziamo a pagaiare verso sud costeggiando la sponda orientale dell’isola di Lussino. Il cielo è grigio e il mare non è mosso come avevamo visto ad Osor poche ore prima.
Le prime baie non sono poi così interessanti e sono urbanizzate, Zagazinjinee e Bojcic (San Martino) fanno ancora parte della cittadina di Mali Losinj, come anche la baia di Baldarka nella quale la costa nord offre riparo dalla bora.
La Baia di Curna anticipa la profonda insenatura in cui è adagiata la cittadina di Veli Losinj (Lussingrande).
Lussingrande è l’insediamento più antico dell’isola e il suo splendore risale ai tempi della Repubblica di Venezia (1700) quando si sviluppò rapidamente con una numerosa flotta di velieri che navigarono anche in Sud America e in Australia.
Oggi Lussingrande conta un migliaio di abitanti ed è stata abbondantemente superata da Lussinpiccolo.
La stretta baia del porticciolo rientra profondamente nel cuore della cittadina ed è contornata da case con facciate vivaci e colorate, sulla sinistra c’è la grande chiesa barocca di Sant’Antonio Abate che contiene importanti opere d’arte, mentre sull’altra sponda, da sopra ai tetti delle case, scorgiamo l’antica torre, oggi adibita a museo della marineria.
Gli armatori e i capitani portarono nei giardini delle loro ville di Lusingrande centinaia di piante, provenienti da tutto il pianeta e perciò molto diverse tra loro.
Più a sud ma adiacente a Lussinpiccolo c’è la baia di Rovenska che possiede un porticciolo affascinante sul quale si affacciano alcune piccole e antiche casette in pietra. Le barche dei pescatori sono lungo i due moli e se si sbarca si può visitare il vecchio mulino dove venivano macinate le olive.
Rovenska è caratterizzata anche dalla grande spiaggia di Barakuda, molto frequentata, e delimitata da un lungo molo oltrepassato il quale inizia un tratto costiero più selvaggio e poco frequentato perchè raggiungibile solo da sentieri in mezzo al bosco. Le insenature di Javorna, di Kriska, di Jamna e di Bocina hanno spiagge ghiaiose. Raggiungiamo la baia di Porat di Trasorke, di fronte all’isoletta di Trasorka, inserita in un paesaggio ancora più bello.

sosta all'isola di Male Orjule - sullo sfondo, sovrapposte le isole di San Pietro e di Ilovik, l'isola di Kozjak a destra
Passando vicino all’isola di Trasorka, attraversiamo il canale di Oriule e raggiungiamo lo stretto che separa le isole di Vele Orjule e di Male Orjule. In questi fondali, nel 1999 fu ritrovato Apoxyomenos, la magnifica statua bronzea raffigurante un giovane atleta greco che oggi si può ammirare nel museo di Mali Losinj.
Ci fermiamo a Male Oriule per qualche minuto prima di affrontare la traversata verso sud che ci porterà sull’Isola di Ilovik.
Pagaiando verso Ilovik, vediamo alla nostra destra, in lontananza, l’isolotto di Kozjak, e poco prima di arrivare all’isola di Ilovik, passiamo a sud/est dell’isola di San Pietro.
San Pietro (Sv Petar) è separata da Ilovik dal canale di Ilovacha Vrata, lungo un paio di chilometri e largo 200 metri o poco più , serve da porto naturale ed è protetto da tutti i venti tranne che dallo scirocco. A metà canale, sorge il paese di Ilovik (170 abitanti), con un porto frequentato dai diportisti e dai pescatori locali. Nel paese, visitato durante il mio precedente viaggio, ci sono alcuni ristoranti, un panificio e un negozio con il necessario.
Sull’isola di San Pietro si trovano: il cimitero di Ilovik, i ruderi di un abazia benedettina risalente all’11° secolo e i resti di una fortezza bizantina, forse sarebbe stato interessante sbarcare per una visita.
Ilovik è l’isola più meridionale dell’arcipelago lussiniano. E’ un’isola molto verde, con querce, pini di Aleppo, eucalipti, orti, vigneti, palme, oleandri e abbellita da molti altri fiori. Lungo il suo perimetro di km. 14 si aprono numerose baie spesso arricchite da piacevoli spiagge.
Doppiato Capo Radovan, a sud/est dell’isola, proseguiamo oltre la baia di Kovaceva e costeggiamo il golfo di Parzine, in fondo del quale si trova la spiaggia più ampia ed accogliente, dove decidiamo di fermarci per allestire il nostro campo sistemando le tende sulla sabbia.
E’ ormai tramontato il sole quando vediamo sbucare in spiaggia alcune persone, arrivano dal paese di Ilovik, raggiungibile da un sentiero che in un paio di chilometri attraversa l’isola, hanno fatto provviste e ora tornano a trascorrere la notte sulla loro barca ancorata nella pace di questa stupenda baia.
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Primo giorno (pomeriggio) – percorsi in kayak Km. 25
2° giorno – Dall’Isola di Ilovik all’Isola di Susak passando per l’Isola di Lussino
La baia di Parzine è ancora in ombra quando ci svegliamo. Le pecore che stanno liberamente pascolando ai bordi della spiaggia, appena usciamo dalle tende, si allontanano precipitosamente.
Dopo un rigenerante tuffo in mare e l’indispensabile e rilassante rito dell’abbondante colazione, smontiamo il campo e siamo nuovamente in acqua a pagaiare lungo il versante sud-occidentale dell’isola di Ilovik, caratterizzato dal susseguirsi di insenature molto selvagge.
Tra la bassa scogliera bianca che separa il mare dal bosco scorgiamo alcune spiaggette, la prima che incontriamo è Parknu, la più grande, alla quale seguono Zemljacic, Totivna, Garbokibocac, Kraljevica, Siroki, Vela Draga, Mala Draga e Nazdre, puest’ultima ormai rivolta a nord guarda verso Lussino.
Da Punta Nozdre alla costa di Lussino c’è una breve traversata di km. 1,6. Alla nostra destra vediamo l’ingresso del canale di Ilovacha Vrata , l’Isola di San Pietro e l’isola di Kozjak.
Arrivati sulla sponda opposta ci soffermiamo a fotografare la bella scogliera e l’ansa di Pecina. Alcuni mufloni, che si erano spinti tra le rocce più vicine al mare, fuggono alla nostra vista.
Poco più a est, la baia di Mrtvaska ha il molo costruito con pietre ricche di fossili che in questa parte dell’isola abbondano, da questa baia, raggiungibile anche dalla strada, partono le barche che collegano Lussino con Ilovik.
Balvanida e Krivica sono le insenature più articolate e profonde, in esse diversi natanti trovano un rifugio sicuro.
Non tralasciamo nessuna di queste baie, il tempo trascorre velocemente mentre le contempliamo. A volte sbarchiamo per fare un bagno in mare in totale libertà. Altre volte ci fermiamo ad osservare l’intensa attività delle colonie di gabbiani lungo la scogliera, o i cormorani tuffarsi in acqua o spiccare il volo al nostro passaggio, mentre i rapaci volano alti nel cielo blu.
Quando al largo passa un battello, scorgiamo dietro la sua scia, alcuni delfini che guizzando veloci, sembrano giocare all’inseguimento e svaniscono in un baleno.
L’ultima sosta la facciamo a Vela Draga, per cucinare il pranzo.
Più a nord di Mala Draga iniziano le spiagge e le scogliere più affollate, sotto le fitte pinete ci sono i campeggi affacciati al mare e altre strutture turistiche di cui alcune sono specificatamente per naturisti.
Nella zona della baia di Suncana (Val di Sole) gli scogli piatti sono bellissimi ma molto frequentati dai bagnanti.
Dopo la Val di Sole ecco il golfo di Cikat (Porto Cigale) avvolto da una lussureggiante vegetazione che non siesce a nascondere tutti gli alberghi posti in fondo e attorno alla baia. Le spiagge del golfo sono adibite a stabilimenti balneari. Sul promontorio che chiude Cikat a sud , non lontano dal faro, c’è la cappelletta dell’Annunziata, eretta per proteggere i marinai Lusiniani.
Dalla baia di Cikat affrontiamo la traversata marina più lunga del nostro viaggio: 11 chilometri di mare aperto ci separano dall’Isola di Susak.
Il mare è poco mosso, il vento debole e la visibilità buona, si naviga a vista, senza la necessità di consultare la bussola.
Giungiamo a Susak (Sansego) e da punta Kurilca in senso antiorario ne percorriamo il perimetro (km.12).
Osservando la costa notiamo subito la diversità con Lussino. A parte il mare sempre molto trasparente, sulle rocce calcaree della scogliera è depositato un ammasso sabbioso sul quale crescono vasti canneti e nell’interno, un tempo più di oggi, filari di viti per il pregiato vino locale.
Doppiata Punta Zomoracna, sbarchiamo nella baia di Porat, è molto bella e davvero invitante per una indimenticabile nuotata, anzi, più che nuotare, ci sembra di volare su quest’acqua tanto trasparente.
Tutto il versante rivolto a sud-ovest di Susak guarda verso il mare aperto, da qui non si vedono altre isole, è molto selvaggio e a parte le capre e gli uccelli marini non ci sono altri segni di vita.
Dopo la baia di Suzaski e doppiata Punta Margarina, si presenta il versante sud-orientale caratterizzato dalle rocce di cala Tijesni, poi oltre il promontorio di Arat raggiungiamo la spiaggia di Bok e oltrepassato un ultimo promontorio entriamo nel golfo di Dragoca dove sbarchiamo sulla spiaggia del paese di Susak.
Ci fermiamo a chiaccherare con un anziano abitante, parla un buon italiano con accento veneto, è un Istriano di Umago che qui ha una seconda casa e viene a godersi la tranquillità e la bellezza primaverile. Ci racconta che cnquant’anni fa il paese era molto più abitato e si coltivavano molti vigneti che producevano un gran vino apprezzato già ai tempi della dominazione romana.
Susak oggi è abitata da meno di duecento persone. Molte sono le case disabitate e in cattive condizioni, mentre altre sono stare ristrutturate recentemente e adibite a scopi turistici. Negli anni sessanta ci fu una grande emigrazione verso l’America e oggi a Hoboken, un sobborgo di New York vivono 2500 Sansegoti, molti dei quali durante l’estate ritornano alla loro isola portando ricchezza e usanze americane.
I servizi in paese sono essenziali: ci sono un paio di negozi di alimentari, la Casa degli Anziani, la Casa degli Emigrati, la Casa della Cooperativa che appare un poco trascurata, forse abbandonata, due o tre ristoranti e un paio di bar, tutto qui.

Sotto le stelle, sulla spiaggia di Bok (Isola di Susak) - Il sonno dell’Inuit Ettore accanto al suo kayak, con l’inseparabile accappatoio Versace sulle gambe.
Mentre torniamo verso la spiaggia vediamo che al molo arriva la nave che collega l’isola con Lussino, invece il catamarano che parte da Fiume arriverà a Susak al mattino seguente.
Riprendiamo i kayak per tornare alla spiaggia di Bok, ottima scelta per sistemare il nostro campo notturno.
Ettore decide di non montare la tenda e approfitta di una sdraio abbandonata sulla spiaggia per dormire col piacere di avere come tetto solo il cielo stellato, mentre in lontananza, in mezzo al mare, brillano delle misteriose luci, scopriremo il giorno seguente che quelle luci arrivano dalle case delle Isole Srakane.
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Secondo giorno – percorsi in kayak km. 46
3° giorno – Dall’Isola di Susak all’Isola di Unije passando dalle Isole Srakane
Oggi il mare è calmo e la visibilità ottima.
Il nostro percorso passa dalle Isole Srakane (Canidole), le vediamo a nord della baia di Bok, sono due strisce di terra, lunghe e strette, alte qualche decina di metri e disposte sull’asse SE-NO che sembrano indicare la strada per l’isola di Unije.
Dalla siaggia di Bok (Susak) pagaiamo per 6 chilometri fino alle rocce di Punta Silo dell’isola di Male Srakane (Canidola Piccola) davanti alla quale c’è uno minuscolo isolotto roccioso con un faro, poi costeggiamo per un paio di chilometri tutto il versante occidentale dell’isola. I tetti di qualche casa e il campanile della chiesa sporgono dai canneti. Sicuramente Male Srakane è un’isola molto isolata e quasi disabitata.
Prolaz Zaplic è lo sretto che separa le due isole Srakane, lo attraversiamo, sono meno di duecenti metri e così raggiungiamo l’Isola di Vele Srakane, la costeggiamo dal versante rivolto verso il mare aperto e ci fermiamo poco dopo, presso un’insenatura con un molo.
L’isola attrae la nostra curiosità, così, legati i kayak agli anelli del molo, ci inoltriamo lungo uno stretto sentiero tra i canneti e in poche centinaia di metri siamo al centro abitato.
Ci fermiamo a chiaccherare con un abitante mentre altri due sono alle prese con la riparazione di un lampione. Colpiscono questi numerosi lampioni che noi, durante la notte trascorsa sulla spiaggia di Bok, vedavamo brillare e ci hanno fatto pensare alla presenza di un paese animato e non così piccolo e sperduto come appare.
Ora che siamo qui, ci rendiamo conto di quanto questo luogo sia isolato e lontano dalla “civiltà”, vivere su quest’isola è sicuramente una esperienza unica e particolare … a parte i lampioni. Non ci sono negozi, di nessun genere, non una trattoria o un luogo di ristoro, l’acqua arriva via mare e quella piovana viene raccolta da qualche cisterna. La quiete assoluta è assicurata e se si esclude qualche presenza estiva, risiedono sull’isola meno di dieci persone che allevano qualche animale da cortile e qualche capra e coltivano piccoli orti.

Sull'Isola di Vele Srakane, esposta alla bora c'è questa piccola costruzione con porte e finestre ben chiuse.
Il villaggio è composto da una dozzina, o poco più, di vecchie case, alcune ben tenute altre malandate o abbandonate. Non ci sono strade ma solo sentieri. Noi percorriamo il sentiero principale che dal paese porta alla chiesetta di Sant’Anna che potrebbe essere facilmente inserita nella scenografia di in un film sul vecchio West. Il sentiero scende poi sul versante orientale dell’isola, dove c’è un molo che serve da approdo princilale per le imbarcazioni di linea provenienti da Mali Losinj, ma lo sbarco avviene solo se viene espressamente richiesto al personale di bordo.
Pur essendoci diverse barche degli abitanti, non esiste un porto e nemmeno baie protette, perciò non ci sono imbarcazioni all’ancora, sono tutte disposte sulla riva nei pressi del molo e ben legate per paura della bora.
L’isola era abitata sin dalla preistoria, a nord, sul colle più alto (60 metri) ci sono i resti di un insediamento con fortezza difensiva.
Dopo questa affascinante visita, torniamo ai kayak e prima d’imbarcarci, ci rinfreschiamo tuffandoci in mare dal molo.
Riprendiamo a costeggiare l’isola e raggiungiamo Punta Straza, il suo vertice nord, poi attraversiamo lo stretto che le divide dall’Isola di Unije (traversata di 1800 metri), raggiungiamo Capo Arbit che è il promontorio più a sud dell’Isola di Unije, posto ai piedi della collina più alta (Kalk – 132 metri).
Costeggiamo l’Isola di Unije in senso orario e dopo la piccola insenatura di Sibenska facciamo una breve sosta nell’ampia baia di Vrulje dove c’è una bella spiaggia ghiaiosa, nei pressi si possono raggiungere i resti di una villa romana del 4° sec. d.C. e la necropoli.
A Capo Vnetak anmmiriamo un bel faro costruito nel 1873.
Dopo Capo Nart, con l’isolotto di Skolijc al largo, entriamo nell’ampio e ridente golfo di Luca Unije, qui, protetto dalla bora e dallo scirocco, sorge il paese di Unije, disposto ad anfiteatro attorno al pendio che si affaccia alla baia, è l’unico centro abitato dell’isola.
Sbarchiamo a destra del molo sulla lunga spiaggia ghiaiosa e dopo aver cuciniamo le nostre provviste, è d’obbligo una passeggiata tra i vicoli.
Il caratteristico paese, è affascinate, curato e sembra ancora autentico. Ci sono alcuni locali di ristoro e trattorie affacciate al mare, qualche negozio di generi alimentari e persino una pasticceria. Gli abitanti, meno di 100 persone, si sono organizzati per offrire ai turisti l’alloggio in camere e appartamenti. Passeggiando tra le vie strette e ombreggiate, la quiete è assoluta e i giardini tra le belle case color pastello sono un tripudio di piante e fiori.
Anche su Unije, come sulle isole di Ilovik e di Susak, le automobili non possono sbarcare. I visitatori arrivano con la linea giornaliera di traghetti da Lussino o, con frequenza meno assidua, tramite gli aliscafi da Fiume. Oltre che per mare, è possibile raggiungere l’isola atterrando sul piccolissimo aeroporto non lontano dal paese.
Numerose fonti d’acqua hanno reso l’isola molto fertile e la campagna è arricchita da molti ulivi.
Ripresi i kayak, proseguiamo sottocosta e percorsi un paio di chilometri, iniziamo a pagaiare ai piedi di una scogliera bianca che strapiomba nel mare, è la più spettacolare del nostro viaggio e raggiunge il suo apice a Capo Vele Stijene, è una grande emozione essere qui. Non possiamo che dilungarci a godere pienamente del piacere di appartenere, anche se per pochi minuti, a questo stupefacente paesaggio.
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Più avanti, la lunga spiaggia di Zasmokve con il solito mare cristallino, è meritevole di una sosta con nuotata e così non ci siamo lasciamo sfuggire l’opportunità di una pausa così ricca.
Oltrepassiamo l’isolotto di Samuncel e ancora più a nord giungiamo a Punta Lokunji, estremo nord dell’isola. Qui le scogliere sono basse e frequentate da molti gabbiani che vi nidificano, probabilmente non temono l’esposizione alla bora.
Le insenature di Goligna e Skopalj, a sud/est di Punta Lokunji, sono quelle maggiormente esposte alla bora e sulle spiagge in fondo ai golfi il vento ha accatastato montagne di plastica raccolta dal mare.
La costa prosegue interessante fino alla prima delle tre profonde insenature orientali, rifugi ideali per che naviga in queste acque, sono protette da tutti i venti tranne che dal mare grosso portato dallo scirocco.
Esploriamo attentamente la prima insenatura, alla ricersa di un approdo comodo per il nostro bivacco, ma a Vognisca non lo troviamo, solo un paio di barche a vela sono ancorate nella baia.
Passiamo così a esplorare l’adiacente insenatura di Podkujni e proprio mentre stiamo per uscire dal golfo, sulla nostra destra, lungo il versante sud, scorgiamo una bella spiaggia di ghiaia chiara che scende verso il mare con una accentuata pendenza, sbarchiamo per una ispezione e … quale meraviglia! il luogo è magnifico per il nostro campo.
La fortuna ci ha aiutato, il posto è davvero molto bello, il mare dorato dal sole al tramonto si stamperà indelebile nei nostri cuori.
Mentre i miei due compagni d’avventura sistemano le tende nell’avvallamento sul prato oltre la spiaggia e vicino alla macchia mediterranea, io preferisco la posizione più elevata e panoramica sul mare, in cima alla spiaggia, metto la tenda sulla ghiaia, tanto con un buon materassino i sassi non vengono percepiti durante il sonno.
Il falò in spiaggia, e sopratutto in questo magnifico luogo, ha un fascino tutto particolare e vicino ad esso è bello dilungarsi rimirando il mare e il cielo stellato, sorseggiando una tisana d’erbe.
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Terzo giorno – percorsi in kayak km. 42
4° giorno – Dall’Isola di Unije all’Isola di Lussino
La brace è ancora calda dalla notte perciò appena alzati è stato semplice ravvivare in fuoco.
Mentre facciamo colazione ci godiamo l’alba, bella quanto il tramonto e forse più.
Passiamo Punta Maracol dietro la quale si nasconde l’omonimo fiordo; ne percorriamo le sponde più aperte sensa addentrarci nel suo acuto vertice dove scorgiamo numerose barche all’ancora e in ormeggio. A sinistra, da lontano, vediamo ampie costruzioni che potrebbero essere i resti dei vecchi magazzini militari o/e quelli della fabbrica per la conservazione del pesce che qui rimase attiva fino al 1963. Dal fondo della baia un sentiero attraversa l’isola e in soli venti minuti è possibile arrivare facilmente al paese di Unije.
Uscendo dal golfo di Maracol, al di là del Canale di Unije, ci appare la catena montuosa Osorscica, che occupa l’intera parte nord di Lussino e scende in mare a Punta Osor, estremo nord dell’isola.
Punta Osor appare sfumata dalla foschia mattutina, ma riusciamo ancora a pagaiare a vista per quasi 11 chilometri ripassando da Capo Maracol e dall’isoletta di Misnjak per poi attraversare in diagonale il canale di Unije.
Giunti nel vertice nord dell’Isola di Lussino proseguiamo sottocosta verso sud.
Il cielo a tratti si annuvola, poi torna a splendere il sole, mentre noi, di roccia in roccia, di baia in baietta, percorriamo attentamente questo tratto costiero molto bello e per oggi tutto e solo nostro.
Sbarchiamo su alcune spiaggette, anche solo per pochi minuti, il tempo di una breve passeggiata e di una nuotata rigenerante.
Alcune calette sono adatte al campeggio nautico e tutte sono deserte e dall’acqua turchese.
Il monte ci sovrasta con le sue vette, di cui la più alta è il Monte Televrina (588 metri).
Il promontorio di Tomozin è il più particolare e nasconde l’omonimo golfo composto da anse abbellite da alcune piccole spiagge ciottolose. Ci fermiamo qui per la sosta pranzo, una nuotata e il piacere di ascoltare il selenzio rotto solo dal dolce suono del mare.
Prima di rimetterci in kayak accendiamo il VHF che annuncia temporali e forti venti in arrivo, ragioniamo sul fatto che forse è meglio anticipare di un giorno la conclusione del nostro viaggio in kayak.
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Più a sud, dopo altre belle baie, il monte si abbassa trasformandosi in collina e nella baia di Studencici scorgiamo le prime case isolate affacciarsi alle spiaggette su cui trovano riparo piccole barche.
Passiamo al largo di Porto Lovo o Linski che appare attrezzato per i diportisti ed è servito anche da una strada.
Ci fermiamo più avanti su un’ampia spiaggia ghiaiosa, la bianca scogliera è bassa e permette di passeggiare facilmente lungo la riva, l’entroterra è coperto da macchia mediterranea. Avrebbe potuto essere il luogo per un nostro bivacco, ma il tempo si è ormai guastato, il temporale avanza e così decidiamo di proseguire per concludere in serata il nostro viaggio in kayak.
A Capo Kurila il faro è sorretto da una torre costruita sulla bassa scogliera, è raggiunto da una stradina che passa dal piccolo aeroporto che sorge nel mezzo di questa ampia penisola.
Ancora un paio di baie e quando ci appare l’isolotto di Zabodaski deviamo a est (80°) per dirigerci verso la Boca Vera, l’ingresso principale del profondo golfo di Mali Losinj.
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Durante le ultime pagaiate, costeggiamo alla nostra destra il campeggio Polijana e poco prima dei grandi cantieri navali entriamo nel canale di Privlaka, lo percorriamo e all’uscita, a destra, arriviamo alla piccola spiaggia ghiaiosa da dove eravamo partiti quattro giorni prima.
Mentre carichiamo i kayak sull’auto inizia a piovere, ma il temporale si scarenerà violentissimo solo durante la notte, acqua a catinelle e violentissime raffiche di vento mentre ci troviamo a Cres nel porto di Porozina in attesa del primo traghetto del mattino.
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4° giorno – Percorsi in kayak km. 47
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TOTALE PAGAIATA ALL’ARCIPELAGO DI LUSSINO – km. 160
I Temporali nel Quarnaro
non si dimenticano facilmente, per via delle improvvise e potenti raffiche di vento e per gli scrosci violenti di pioggia.
Frequenti nei pomeriggi e nelle serate estive, sono spesso associati a forti venti nord/orientali o meridionali
Sottocosta le raffiche sono ancora più forti e se sono micidiali per un kayaker esperto, creando spesso serie difficoltà anche a barche motorizzate di piccola o media stazza.
Quando si osserva verso occidente la formazione di nubi dense e scure che scendono verso il mare, è bene cercare un rifugio a terra ed aspettare che il temporale passi, il periodo più intenso del temporale di solito non dura più di mezz’ora, ma in questo tempo, i rovesci di pioggia sono tanto forti da impedire una sufficiente visione e segiuire la giusta rotta di navigazione può diventare un serio problema.
Sotto il temporale, anche se dotati di bussola, ritengo che sia un rischio troppo elevato affrontate le traversate.
In questo mare veramente cristallino, cosparso di isole verdi e sopratutto vere, i periodi migliori per l’esplorazione in kayak sono la primavera inoltrata e Settembre, lontano dall’affollamento di Luglio e Agosto e dalla stagione invernale in cui è frequente incontrare la Bora e/o il cattivo tempo.
Con più tempo a disposizione avremmo potuto visitare il museo di Mali Losinj dove è custodito l’Apoxyomenos, il magnifico bronzo dell’atleta greco rinvenuto nel mare tra l’isola di Lussino e l’isola di Vele Oriule, avremmo potuto sbarcare a Veli Losinj per una passeggiata nel caratteristico paesino, ma sopratutto sarebbe stato bellissimo fare l’escursione fino alla vetta del Televrina per entrare nel cuore dell’isola e dalla sua vetta dominare l’intero percorso fatto in kayak.

Ettore Moretti, Marco Ferrario, Marco Zonno sulla spiaggia di Bok (Isola di Susak) - a dx sullo sfondo l'isola di Unije
Trekking in kayak da mare di Ettore Moretti, Marco Zonno e Marco Ferrario
Testi di Marco Ferrario – Fotografie di Ettore Moretti (E), Marco Zonno (Z) e Marco Ferrario