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Isole EOLIE (Alicudi-Filicudi-Salina-Lipari)
Kayakkando nel tempo, dai primordi ai giorni nostri
Italia – arcipelago Isole Eolie – Tirreno meridionale
Alicudi – Filicudi – Salina – Lipari
articolo e foto di Marco Ferrario – Eko
Nel mar Tirreno, a settentrione della costa nord-orientale sicula, sorgono isole forgiate dal fuoco, e descritte nei racconti mitologici dell’antica Grecia come il regno di Eolo, il dio dei venti.
Dal 24 al 29 aprile 2002, abbiamo percorso poco meno di un centinaio di chilometri in kayak e alcune complementari escursioni a piedi, che ci hanno permesso di capire ed apprezzare il viaggio nello spazio-temporale di queste quattro isole.
Le visitai per la prima volta nel ‘74 e poi nel ‘76, rimanendo affascinato dalla loro vulcanica bellezza. Ricordo che Alicudi, Filicudi e Panarea erano ancora prive d’energia elettrica. Oggi torno sull’arcipelago per meglio conoscerlo, esplorandone in kayak il primordiale confine tra acqua e fuoco.
Arriviamo a Napoli in auto, sul cui tetto, ben legati, trasportiamo i nostri cinque kayak. Il biglietto Siremar costa 188,50 €, da Napoli a Rinella di Salina, per cinque persone. Decidiamo di portare l’auto a Salina; il costo è di altre 104,63 €, un poco superiore all’eventuale parcheggio napoletano sommato del prezzo per traghettare i kayak.
Alle ore 21 del 23 aprile, il bisettimanale per le Eolie salpa dal porto di Napoli. La traversata dura tutta la notte. (Un altro traghetto che parte da Milazzo, collega giornalmente l’arcipelago con la Sicilia).
Prima dell’alba, usciamo dai sacchi a pelo e saliamo sul ponte.
La nave sta passando accanto allo scoglio di Strombolicchio e poco dopo approda a Stromboli.
E’ ancora buio e si fatica a distinguere la piramide nera del vulcano.
Al primo schiarirsi del cielo, notiamo che dalla vetta scendono inquiete nubi.
Gradualmente l’alba si fa avanti e il vulcano acquista forma e colore.
Un’ora dopo, siamo fermi al largo del versante opposto dell’isola, di fronte a Ginostra.
Dal fianco del traghetto è calata una scaletta che permette a pochi passeggeri con qualche bagaglio, di trasferirsi su una piccola barchetta che li porterà al paesino.
Il nostro viaggio prosegue e, dopo aver sfiorato il bizzarro scoglio di Basiluzzo, il traghetto si ferma a Panarea, poi alle ore 9 sbarchiamo a Rinella di Salina.
Scaricati i kayak dall’auto e sistemate le provviste nei gavoni, parcheggiamo dopo il primo tornante, vicino al campeggio, a poche centinaia di metri dal porto.
Alle 10.45 arriva il traghetto per Alicudi.
Saliamo, con i nostri carrellini che trasportano comodamente i kayak e, dopo una sosta a Filicudi, alle ore 13,30 del 24 aprile, sbarchiamo ad Alicudi.
La remota Alicudi, appare come un triangolo che si erge per 675 metri su un mare completamente limpido. Il suo perimetro è inferiore ai nove chilometri.
Sbarchiamo allo scalo della Palomba, a destra e sinistra ci sono spiagge di grossi ciottoli scuri.
Calziamo i kayak e costeggiamo in senso antiorario.
Abbiamo davanti a noi tutto il pomeriggio per circumnavigarla e cercare il posto migliore per sistemare il campo notturno.
Accanto al paese c’è la spiaggia di Pantalucci. Più avanti, l’alto e roccioso promontorio di Punta Fucile, presenta pareti ripide incise dai terrazzamenti, un tempo coltivati ed oggi ricoperti da macchia mediterranea. Moltissimi i fichi d’india e, qua e la, risaltano tra la fitta vegetazione, le macchie gialle dei cespugli di genziane in fiore.
In alto, oltre la chiesa di San Bartolo, ci sono le poche case delle frazioni di Castello e Montagna. Le spiagge sono tutte con grossi sassi.
In contrada Bazzina, dove la costa si fa più pianeggiante, ci sono un paio d’eleganti ville ristrutturate in stile che mal si addice ad un’isola così genuina e selvaggia. Saranno quarte o quinte case di proprietà di qualche vip che ad Alicudi vi giungerà in elicottero, con la scorta di provviste e servitori, per soggiornarvi solo pochi giorni all’anno.
Lungo gli scoscesi pendii del monte, scorgiamo invece alcune semplici casette.
Dopo una verdissima vallata, doppiamo Punta Rossa o del Perciato di Tramontana, il paesaggio è mutato considerevolmente e si è fatto assolutamente selvaggio ed inaccessibile.
A nord e ad ovest, si susseguono imponenti colonne laviche in antichissime sciare vulcaniche.
Tutto è avvolto da ombre e luci che si fanno spettrali e misteriose, anche grazie alle nubi che corrono veloci tra i picchi più alti. E’ uno scenario primordiale.
Oltre Punta Malopasso e nei pressi dello Scoglio Galera si ammirano i picchi più imponenti.
A punta Sciarato finiscono i precipizi e a Punta Roccazza anche le sciare.
La costa sud è terrazzata e meno ripida, in alto scorgiamo le case di Tonna mentre a mare la località Perciato anticipa lo Scalo della Palomba.
Giorgio non resiste alla selvaggia bellezza della costa occidentale e si fa un’altra circumpagaiata dell’isola; mentre noi decidiamo d’entrare nel cuore di Alicudi, percorrendone le impervie mulattiere che gli isolani chiamano strade. Le strade, come noi siamo abituati a pensarle, qui non esistono.
L’unico sterrato carrozzabile che si congiunge al breve molo, è lungo un centinaio di metri e serve ai pochi automezzi che sbarcano dal traghetto per scaricare l’indispensabile.
Ad Alicudi gli autoveicoli non hanno scopo d’esistere.
Sull’isola il solo e logico mezzo di locomozione è il mulo.
Percorriamo un viottolo scalinato che sale ripido oltre la chiesa tra le cubiche casette bianche del minuscolo paesino. La posizione è incantevole e la vista sul mare è panoramica.
Passiamo accanto alla cisterna per la raccolta dell’acqua e saliamo ancora seguendo le indicazioni per la contrada Sgorbio, dove Alice, un’amica di Franco, possiede una casetta.
La mulattiera si fa sempre più impervia e prosegue, in una foresta d’erbe mediterranee, attraverso terrazzamenti non più coltivati.
Guidati telefonicamente da Alice, con non poche difficoltà d’orientamento, raggiungiamo la semplice casetta che ha mantenuto intatto lo stile architettonico isolano.
Un’ora di duro cammino e riusciamo così a comprendere perché, nonostante tutto, Alice trascorra gran parte della sua vita in una città del nord. Coraggiosamente, quando riesce a tornare in questo mondo difficile e sublime, sicuramente si rigenera di nuova vita, nonostante l’acqua disponibile sia solo quella poca raccolta dalla cisterna, la corrente elettrica non arrivi a casa sua e rifornirsi di provviste sia una grande impresa.
Proseguendo tra la fitta vegetazione, scorgiamo altre casette dello stesso tipo ma, in questa stagione, appaiono disabitate; e alcune in completo abbandono e ormai in rovina.
Durante la nostra passeggiata incontriamo solo un mulo, che ci ha seguito per un lungo tratto, sino al bivio che abbiamo imboccato in ripida salita e che ci ha permesso di arrivare oltre la chiesa in località Castello, a quasi 400 metri d’altezza. Poi scendiamo nuovamente al porto.
E’ ormai sera, e così sistemiamo le nostre tendine sugli scomodi sassi di Pantalucci, mentre Aldo e Giorgio preferiscono la spiaggia più a nord, dalla quale però non si può raggiungere a piedi il porticciolo.
La sera passeggiamo in paese ma nessuno esce da casa.
L’ufficio del telefono pubblico e il piccolo mini-market-bar sono chiusi, del resto anche di giorno non sempre sono aperti e se si esclude il dispensario farmaceutico e l’ufficio postale, che aprono poche ore la settimana, altre attività commerciali non esistono.
Notiamo che solo poche case hanno una luce accesa, il silenzio è profondo e si può davvero ascoltarlo.
Passeggiando verso sud, sul lungomare, incontriamo una costruzione che forse in estate potrebbe essere un luogo in cui si affittano stanze ai turisti, ma non sembra propriamente un albergo.
Alla fine della stradina c’è anche la piattaforma dell’eliporto, indispensabile per i soccorsi e per i collegamenti quando, durante le burrasche, la nave non può attraccare; dopo il Perciato, ci sono le ultime case.
L’alba del 25 aprile si presenta con un cielo molto nuvoloso ed il vento di libeccio increspa il mare. Abbiamo appena il tempo di smontare le tende e chiedere ospitalità su una terrazza coperta che si affaccia alla baia, che ecco scatenarsi un violento temporale.
Aldo e Giorgio, stanno arrivando al porto pagaiando sotto lo scroscio dell’acquazzone e le raffiche di vento.
Più tardi, quando la pioggia si fa meno violenta, i gabbiani schiamazzanti banchettano sull’acqua a pochi metri dalla riva, mentre in lontananza si ode il canto di un gallo. La nostra colonna sonora si completa con sporadici cinguettii d’uccellini festeggianti, mentre lo sciabordio delle onde ed il fischio del vento completano quest’armonia così inconsueta per i nostri uditi metropolitani.
Ci separano da Filicudi sedici chilometri di mare aperto, con profondità superiori ai 1.200 metri; è un tratto marino insidioso e con forti correnti, che in alcune circostanze possono superare i tre nodi. Visto il tempo inclemente, decidiamo di rinunciare alla traversata e approfittare del traghetto che, verso le ore 14, mare permettendo, dovrebbe attraccare ad Alicudi.
Data la pioggia, abbiamo trascorso la mattinata al porticciolo, così è stato facile fare alcune interessanti conoscenze.
La simpatica e dinamica signora della biglietteria dei traghetti, che gestisce anche il telefono pubblico, ci ha parlato della sua vita. All’età di 13 anni, dalla Sicilia è arrivata ad Alicudi e, rimasta in cinta, si è sposata con un abitante dell’isola.
Da allora Alicudi è divenuta la sua terra. Ha avuto sei figli che, ormai adulti, sono tutti partiti per lavorare, uno a Lipari, e gli altri in Sicilia o ancora più lontano, all’estero.
Ci racconta di quanto la vita sia dura ad Alicudi, non c’è lavoro, ed è molto difficile far arrivare un qualsiasi elettrodomestico.
La corrente è disponibile da pochi anni, ma solo nelle case vicino al porticciolo. Gli uomini possiedono una barchetta con la quale vanno a pescare per i bisogni alimentari della famiglia.
D’estate, i più giovani, guadagnano bene trasportando con i muli le provviste e le suppellettili dei turisti milanesi, svizzeri o tedeschi che vivono nelle case più isolate e difficili da raggiungere.
La signora, ci racconta anche di quanto gli abitanti originari dell’isola siano chiusi e riservati.
Abbiamo poi conosciuto l’insegnante della scuola media: nativa di Milazzo, si è trasferita qui a lavorare. C’invita a casa sua a bere un caffè e racconta che a scuola sono iscritti una quindicina di bambini, dall’asilo alla scuola media. Molti, per frequentarla, devono percorrere lunghe mulattiere che diventano terribili e pericolose in caso di cattivo tempo.
Finita la scuola media, le femmine, pur essendo tutte bravissime nel disegno artistico, non possono proseguire gli studi, perché i genitori non vogliono mandarle lontano e così, spesso, a 14 anni hanno già un figlio e si sposano. Dato l’esiguo numero d’abitanti, è inevitabile che i consanguinei si uniscano in matrimonio, con evidenti problemi che si ripercuotono sulla salute dei figli.
Tra i maschi, i più intraprendenti, proseguono gli studi a Lipari, in Sicilia o nel continente, abbandonando l’isola, spesso per sempre.
Settanta anni fa, qui vivevano oltre cinquecento abitanti, oggi solo poco più di cento.
In luglio-agosto, con l’arrivo dei turisti, l’isola ospita un migliaio di persone, ma quei pochissimi che, arrivati da lontano, hanno scelto di vivere ad Alicudi durante tutto l’anno, devono necessariamente possedere uno spiccato valore per l’eremitaggio.
Alle ore 14 c’imbarchiamo sul traghetto lasciandoci alle spalle quest’isola così lontana dal nostro mondo e perciò positivamente ingenua e sincera.
Conoscerla è stata un’indimenticabile esperienza di vita.
Il cielo si sta liberando dalle nubi più minacciose, che si addensano solo sulle parti più alte delle isole, nascondendone le vette.
Sono passate le ore 15 quando, sbarcati a Filicudi, ci rimettiamo a pagaiare.
Il giro dell’isola, comprensivo della deviazione sino allo scoglio La Canna è di diciotto chilometri.
Dalla grande spiaggia di Filicudi Porto andiamo verso nord e vediamo subito una ripida parete.
I geologi affermano che si tratta del versante interno del cono vulcanico sprofondato in mare qualche decina di migliaia d’anni fa.
Incontriamo poi una spiaggia sassosa ai piedi di un verde vallone terrazzato.
In alto scorgiamo le case di Valle Chiesa.
In località Brigantini, nonostante il luogo sia molto isolato, sorgono un paio di vecchie casette vicino alla spiaggia sassosa.
A Punta dello Zucco Grande appaiono evidenti gli strati lavici soprapposti.
Il versante nord prosegue ripido ed inaccessibile.
Molto bello è il frastagliato tratto marino nei pressi dello scoglio Giafante e Punta Zotta.
La costa rimane scoscesa, ma in alto appare meno aspra del tratto precedente.
Profonde valli scendono dal monte e nel mare giacciono numerosi piccoli scogli.
Voltiamo ora le spalle a Filicudi e dirigiamo la prua dei nostri kayak verso ovest. Percorso poco più di
un chilometro, siamo nei pressi dello scuro scoglio di Montenassari, circondato da piccole rocce.
In questo tratto il mare è mosso e confuso.
Ancora cinquecento metri ed arriviamo sotto il faraglione dello scoglio La Canna, che si erge per una settantina di metri.
Le onde sono sempre più alte e s’incrociano creando una certa difficoltà nel governare i kayak.
A tratti alterni vedo svanire e riapparire i compagni di pagaiata, l’equilibrio è precario ma con qualche rischio riusciamo anche a scattare alcune fotografie con La Canna in primo piano ed Alicudi all’orizzonte.
Torniamo a costeggiare Filicudi, passando dagli scogli della Fortuna e dallo spettacolare arco di Punta Perciato.
Il mare è ancora insidioso, ma poco più avanti, in un’ansa protetta e quasi nascosta, entriamo nella pace dell’ampia Grotta del Bue Marino. Qui l’acqua ha dalle trasparenze azzurre sulle quali si riflettono magici giochi di luce, in fondo si trova una piccola spiaggia ciottolosa.
La pagaiata prosegue ai piedi degli irti pinnacoli lavici dello Sciarato.
In alto scorgiamo le capre selvatiche saltare ed arrampicarsi su impervi picchi, ma scalare queste rocce non è un’impresa facile; infatti, su uno scoglio vicino al mare, scorgiamo il corpo senza vita di una di esse, precipitata dall’alto.
Doppiata Punta Stimpagnato le pendici della Montagnola degradano più dolcemente verso la spiaggia di Pecorini a Mare. Si susseguono poi alte rocce, sino al pianeggiante istmo del Piano del Porto.
A Capo Graziano la parete è ripida, inaccessibile e frastagliata da numerose minuscole insenature, ma doppiato il capo, concludiamo il giro, ritrovandoci nella grande baia di Filicudi Porto.
Tutte le spiagge dell’isola sono di grossi sassi arrotondati, perciò poco invitanti per sistemare le tende.
Dopo la notte trascorsa ad Alicudi vorremmo un giaciglio un poco più comodo.
Montiamo perciò le tendine su di un terrazzino di una casa abbandonata, perlomeno è in piano.
Altri violenti temporali sono però in agguato, e il nostro terrazzino durante la notte si è trasformato in un catino in cui l’acqua fatica a defluire, allagando in parte le tende.
Al mattino del 26 aprile la pioggia cessa ed il vento ci aiuta ad asciugare la tenda ed il sacco a pelo.
Alla prima schiarita del cielo, Andrea vorrebbe partire per la traversata su Salina (diciotto chilometri in mare aperto con profondità di quasi 1.400 metri e insidiose correnti). Le previsioni del mare e del tempo non sono però rassicuranti e così, il resto del gruppo non se la sente di rischiare.
Un temporale avrebbe potuto sorprenderci al largo e crearci serie difficoltà; così, anche Andrea, a malincuore, si rassegna a restare a Filicudi.
C’informiamo su un possibile traghetto per Salina ma, con nostro stupore, oggi non ne transitano, forse domani.
L’organizzazione dei traghetti sull’arcipelago c’è sembrata molto approssimativa, in particolare sulle isole d’Alicudi e Filicudi.
La vita a Filicudi non è difficile come ad Alicudi, ci sono alcuni chilometri di strade carrozzabili che collegano i paesini e gli escursionisti amano frequentarne i sentieri.
Centanni fa sull’isola vivevano un migliaio di persone, oggi poco più di trecento.
Ci dedichiamo anche noi alle passeggiate. Saliamo lungo una mulattiera al tranquillo abitato di Valle Chiesa sino alla chiesa di Santo Stefano. La vegetazione è esuberante ovunque.
Durante la passeggiata incontriamo un paio di innocui serpenti, lunghi e neri, che al nostro passaggio scappano a rifugiarsi tra i sassi.
Per ripidi sentieri scendiamo poi alla rada di Pecorini e ci sdraiamo sulla calda spiaggia rivolta a sud.
Una ciminiera di un mulino a vapore caratterizza il paesino e sui sassi di una stradina, un’artista ha scolpito pesci e delfini, di fronte a casa sua.
Pecorini è un piacevole borgo, in cui ci sono anche un paio di ristoranti a mare.
Rientriamo a Filicudi Porto passando per Rocca di Ciauli.
A Filicudi si possono fare altre escursioni al Monte delle Felci: la vetta dell’isola, a 773 metri; oppure verso lo Zucco Grande o, come poi abbiamo fatto noi, in cima a Capo Graziano, sul quale sono situati i resti di capanne di un villaggio dell’Età del Bronzo.
Da quassù il panorama è davvero molto bello: si domina la grande spiaggia di Filicudi e gran parte dell’isola.
La notte la trascorriamo nelle nostre tende sistemate sull’asfalto, vicino alle barche dei pescatori.
E’ una sistemazione meno poetica che stare sui grossi sassi della spiaggia ma è anche meno scomoda. Fortunatamente la pioggia ci ha risparmiati, anche se i nuvoloni sono sempre in agguato, appostati sulla vetta dell’isola.
Poco dopo mezzogiorno del 27 aprile, ci imbarchiamo su un piccolo traghetto della “Navigazione Generale Italiana” che ci porta a Santa Maria Salina.
L’isola di Salina è la più ricca d’acqua, e ciò ha reso fiorente l’attività agricola: pregiata è la produzione del vino Malvasia e dei capperi.
Formata da due antichi vulcani ormai spenti: Fossa delle Felci (962 metri – cima più alta dell’arcipelago) e Monte dei Porri (860 metri), oggi è in gran parte protetta dalla Riserva Naturale.
Gli abitanti sono circa 3.000.
Siamo ormai lontanissimi dal pianeta Alicudi, e se già a Filicudi stavamo gradualmente rientrando nella nostra civiltà, a Salina, ci sono tutti i confort cui siamo abituati (strade, ristoranti, alberghi, negozi ecc.), ma non c’è nulla di sfacciato e la situazione ambientale è buona.
Ricordo che anche Nanni Moretti in “Caro Diario”, si sposta a Salina per trovare la pace che mancava a Lipari.
Santa Maria Salina è il maggior centro commerciale e possiede una graziosa spiaggia sassosa dalla quale mettiamo in mare i kayak, per dirigerci verso nord.
Il giro attorno all’isola è una pagaiata di ventiquattro chilometri.
La costa, inizialmente pianeggiante, si fa più interessante verso Capo Faro dove gli scogli assumono forme dirupate: lo scoglio Cacato (dai gabbiani) e soprattutto gli scogli di Torricella.
La costa nord presenta valloni vulcanici e scogli lavici.
Dopo lo scoglio Quartarolo incontriamo il piccolo scalo di Jaleria con le sue bellissime rocce erose e poi la spiaggia di ciottoli arrotondati di Scario; in alto, sull’altopiano sorge il paesino di Malfa.
Si susseguono rupi e valloni d’antichissime colate laviche sconvolti da frane apocalittiche. Punta Perciato (che significa forato) è un promontorio a picco, nel quale si apre un grande arco.
La successiva baia di Pollara è un tratto di costa di straordinaria bellezza: nelle rocce erte e selvagge sono scavate delle stanze, un tempo abitate ed oggi utilizzate come magazzini e depositi per le barche.
L’acqua è limpidissima. Di fatto, ci troviamo al centro di un cratere esploso 13.000 anni fa.
La spiaggia è di sabbia scura ma non è adatta al campo notturno perché troppo stretta e col pericolo di frane, peccato. Su questa spiaggia, il regista Michael Radford ha ambientato la poetica e sincera dichiarazione d’amore, “del postino” (Massimo Troisi) mentre, recitando dolci metafore, conquista il cuore di Beatrice (Maria Grazia Cucinotta).
Pagaiamo verso il grande scoglio di roccia nera posto al largo della baia. Da qui, ammiriamo l’affascinante paesino di Pollara adagiato sulla terrazza, tra l’alto della scogliera e le pendici del Monte dei Porri.
Tra le bianche casette, se ne distingue una più isolata, di color rosa.
E’ la casa nella quale, durante la sua ultima recitazione cinematografica: “Il postino”, Massimo Troisi, s’incontra col poeta Pablo Neruda (Philippe Noirette) e impara a fare poesia ed apprezzarla. Il luogo è davvero sublime, e non solo per chi ha conosciuto ed amato Troisi.
La costa occidentale prosegue sovrastata dal Monte dei Porri.
Su queste incantevoli pareti rocciose nidifica il falco della regina.
Passiamo poi dalla Grotta di Racina, a Punta Marcello le ultime rupi del monte si tuffano in mare.
Dopo Punta Menga si apre la verde e graziosa baia di Rinella. Il porticciolo ospita barche da pesca; mentre, di là dal molo, c’è una piccola spiaggia sabbiosa adatta al nostro sbarco. Sull’arenile ci sono alcune barchette di pescatori ed attorno ad essa, semplicissime e tipiche casette, anche se un po’ disordinate.
La scogliera accanto presenta piccole caratteristiche grotte.
Finalmente, dopo tre giorni di Eolie, troviamo una fruibile e morbida spiaggia.
Prima di metterci a dormire, ceniamo tutti assieme in un ottimo ristorante di Rinella.
Il 28 aprile ci svegliamo presto e riprendiamo il giro dell’isola costeggiando le gigantesche frane del versante sud della Fossa delle Felci.
Alla Falconiera la costa è scoscesa mentre a Punta Grottazza non troviamo la grotta, forse distrutta dalla forza del mare.
Più ad est, la costa diviene pianeggiante.
Ci fermiamo dopo il Faro sulla spiaggia di Lingua, dietro la quale si può vedere il laghetto salmastro che un tempo era sfruttato come salina. Lingua possiede una spiaggia ciottolosa, l’acqua è limpida e le casette bianche si affacciano sul bel lungomare.
Un personaggio dalla simpatica aria di marinaio vissuto, passeggia lentamente in riva al mare e poi si avvicina curioso alle nostre imbarcazioni. Si tratta del simpatico Sig. Tobia, il custode del Museo Civico Antropologico e Storico dell’isola di Salina, lo capiamo poco dopo quando lo vediamo aprire il portone e così n’approfittiamo per una visita.
Il museo è molto interessante e le esaurienti spiegazioni di Tobia ci permettono di apprezzarlo ancor più. Le stanze, ben curate, raccontano la storia di Salina; in esse sono conservati gli strumenti d’antiche arti e mestieri, documenti, arredamenti di stanze isolane che risalgono al 1.600. Poi Tobia, con l’aiuto di mappe tirreniche, ci parla del vulcano Marsili, che si trova nelle profondità marine del Tirreno meridionale e forse un giorno potrebbe esplodere sconvolgendo mare ed isole. I vulcanologi lo tengono sotto osservazione.
La visita al museo è stata molto piacevole ed istruttiva.
Riprendiamo il mare, ma Aldo e Giorgio si sentono poco bene, Aldo ha anche la febbre e perciò si fermano a Santa Maria Salina.
Andrea, Franco ed io, decidiamo di attraversare su Lipari.
Dal faro di Punta Lingua allo Scoglio dell’Immeruta percorriamo 4.5 chilometri sulla rotta di 113°.
Lipari è l’isola più importante ed estesa dell’arcipelago, il suo perimetro è di 33 chilometri ed è anche la più popolosa (9.000 abitanti).
Più ci avviciniamo e meglio distinguiamo lo scoglio dell’Immeruta; alto una decina di metri, ai suoi piedi spumeggiano le onde. Una volta raggiunto iniziamo a costeggiare in senso orario.
A Punta del Legno Nero la costa è ripida e selvaggia, disseminata da scenografici scogli, poi si apre l’ampia baia d’Acquacalda con la sua spiaggia ghiaiosa. Il paesino, visto dal mare, appare aggredito dalle maestose cave in gran parte abbandonate e dalle infrastrutture collegate all’estrazione della pomice; più che un paese marino sembra un luogo minerario in fase d’abbandono.
Lunghi e maestosi pontili si protendono in mare; servivano, e in parte forse servono ancora, per caricare sulle navi la pomice che era esportata in tutto il mondo.
Passiamo accanto alla nave cisterna che sta rifornendo d’acqua il paese.
A Punta Castagna, ci troviamo a pagaiare tra i candidi sassi di pomice, che essendo porosi e leggeri, galleggiano sull’acqua. Ne raccogliamo qualcuno da portare a casa per ricordo.
Porticello, si trova ai piedi di scoscese montagne bianche; le spiagge sono di sabbia nera ricoperta da sassi di pomice. Si possono visitare le strutture minerarie adibite all’estrazione e divenute ormai archeologia industriale. La polvere di pomice si è depositata sul fondo marino, rischiarandolo e donando all’acqua straordinarie sfumature turchesi.
Nel ’76 sistemammo la tendina su queste spiagge e ci divertimmo un mondo a scalare le montagne di polvere bianca per poi discenderle a rotta di collo, sino a tuffarsi in acqua.
Il regno della pomice sta per finire, la serie dei lunghi pontili termina poco prima di Capo Rosso, oltre al quale si apre la spiaggia della Papesca e la turistica e ampia baia di Canneto.
Pagaiamo veloci verso il ripido promontorio di Monterosa e costeggiatolo interamente, giungiamo al porticciolo di Pignataro di Dentro. Le cementificazioni premono sulle spiagge di Marina Porto Salvo e Marina Lunga: dove si trova l’attracco dei traghetti.
Stando al largo, giungiamo così ai piedi dello scosceso promontorio del Castello di Lipari, sbarchiamo poco dopo, a Marina Corta, oltre il molo degli aliscafi e lasciamo i kayak sulla minuscola spiaggia.
La cittadina di Lipari merita una sosta. E’ un luogo molto diverso dagli altri paesini eolici che abbiamo incontrato nei giorni scorsi, sembra più simile a Portofino durante una domenica estiva.
Frenetici turisti sbarcano dagli aliscafi o s’imbarcano per raggiungere le altre isole.
Numerosi anche gli escursionisti che, in gruppi organizzati, si recano sull’arcipelago, attratti dalle numerose opportunità di splendide passeggiate.
Sulla Marina Corta si affaccia Piazza Ugo di Sant’Onofrio, circondata da piacevoli bar e frequentata da numerosi adescatori che invitano i turisti ad un’escursione in barca.
Ci provano ripetutamente anche con noi, nonostante il nostro particolare abbigliamento.
Piacevole è passeggiare per le vie del paese, percorriamo Via Garibaldi sino a Piazza Mazzini (sopra al porto di Marina Lunga) e pranziamo con memorabili arancini e panzarotti (come solo in Sicilia sanno fare).
Non visitiamo la Cittadella del Castello con il suo Parco Archeologico, la Cattedrale Normanna e l’importante Museo Eoliano; lo avevo visto anni fa, così, dopo un’immancabile granita siciliana, ci rimettiamo in kayak.
A sud, il litorale è alto e roccioso, interrotto da Cala Portinente ed altre minuscole insenature, alcune con belle spiaggette come quella di Punta Campistello.
Dopo le curiose rocce spaccate della Forbice, si apre la spiaggia di Ferrante con una piccola grotta limitata a sud dalla bella Punta della Costa.
A Punta della Capazza, estremo sud di Lipari, ammiriamo la scogliera e, vicinissima, oltre le Bocche di Vulcano appare la costa dell’isola più meridionale dell’arcipelago, sormontata dai suoi vulcani.
L’isola di Vulcano dista, infatti, solo un chilometro da Punta Capazza.
Avremmo voluto aggiungerla al nostro itinerario ma, avendo dedicato più tempo del previsto ad Alicudi e Filicudi, non possiamo permettercelo. Torneremo alla prossima occasione, quando finiremo l’esplorazione dell’arcipelago visitando anche le isole di Panarea e Stromboli.
E’ ormai pomeriggio inoltrato ed il sole illumina magicamente l’estremo sud-ovest dell’isola di Lipari, il tratto marino più panoramico dell’intero itinerario sin qui percorso.
Doppiata Punta Capazza ci appare la spiaggia di Vinci, sabbiosa ed incantevole, raggiungibile solo via mare. Al largo, emerge il grande e stupendo scoglio di Pietralunga (alto 60 metri e caratterizzato da un arco di roccia) e lo scoglio di Pietramenalda (frequentato da gabbiani e cormorani).
Avremmo voluto bivaccare alla spiaggia di Vinci, ma la prudenza ci spinge a proseguire nella ricerca di un luogo con un ridotto rischio di caduta massi.
Nel grande sperone roccioso di Punta Perciato si apre un altro arco di roccia, lo attraversiamo in kayak e davanti a noi appare la scoscesa scogliera ai piedi del Monte Guardia, un poco più al largo gli scogli delle Formiche.
Ci fermiamo all’ampia spiaggia ghiaiosa di Valle Muria.
Prima di montare le tende, Franco ed io entriamo in valle per un sentiero che sale ripido tra gli oleandri e raggiungiamo le prime case della frazione di Quattrocchi, imbocchiamo la stradina asfaltata che sale a sinistra sino alla strada principale e prendiamo nuovamente a sinistra per salire ancora sino al tornante del Belvedere. La fatica è premiata dal bellissimo panorama, sicuramente il più fotografato delle Eolie.
Il sole del tardo pomeriggio carica di rosso i precipizi, le spiagge sottostanti ed i faraglioni esplorati poco prima in kayak; sullo sfondo l’isola di Vulcano ha bene in evidenza i suoi crateri violacei.
Non è facile resistere a questa visione e così, con l’aiuto della nostra foto-camera, ci portiamo a casa il ricordo di quanto osservato.
Il sole sta tramontando mentre scendiamo alla spiaggia per organizzare il campo notturno.
Finalmente abbiamo trovato un posto eccellente per piantare le tende.
Ci sistemiamo a pochi metri dal mare, dove la spiaggia è più larga, all’imbocco della valle.
Protetti dal vento, mentre cuciniamo in un vano scavato nel tufo, arriva in spiaggia una barchetta dalla quale sbarcano una ventina di persone. Si precipitano tutti a raccogliere legna e, appena calate le tenebre, sulla spiaggia arde già un vivace fuoco, attorno al quale ha trovato posto l’allegro gruppo del CAI di Padova.
Più tardi, ecco arrivare una seconda barchetta con alcune persone che scaricano provviste. La brace è pronta e così veniamo piacevolmente coinvolti in un pranzo a base di pesce ed innaffiato da buon vino.
La serata è bellissima, il fuoco ed il vino tengono caldi, poi un anziano liparota inizia a pizzicare la sua chitarra. Suona e racconta di quando con i genitori era emigrato in sudamerica, era bambino, e ha imparato ad amare quelle nuove terre e la loro musica.
Così, tra racconti in un italiano spagnoleggiante, struggenti musiche di Caetano Veloso e di altri compositori latino-americani intervallati da un Guccini, un DeAndrè e un Paolo Conte, arriva piacevolmente mezzanotte. Ancora un bicchier di vino e poi di nuovo musica e poesia con i brani dei Creedence Clearwater Revivalun, un omaggio al Che con “Hasta siempre Comandante”, i vecchi brani degli Intillimani e i trascinanti ritmi di Compay Segundo e dei suoi compagni del Buena Vista. Per questa grande serata dobbiamo ringraziare la sua arte e la fortuna che l’ha portato su questa spiaggia insieme al simpatico gruppo d’escursionisti.
Fermandovi a Lipari, a Marina Corta cercate il Chitarra Bar e, se sarete fortunati, Angelo suonerà anche per voi, e vi commuoverà con la sua chitarra.
Alla loro partenza rimaniamo soli con le stelle, la musica delle onde e la serenità di una serata indimenticabile.
La mattina del 29 aprile la dedichiamo a finire il nostro giro in kayak.
A nord di Valle Muria i costoni rossastri scendono in mare e si spezzano in numerosi scogli e piccole grotte. La Pietra del Bagno è lo scoglio più grande e si trova piuttosto al largo.
Sotto il Monte Mazzacaruso si susseguono tre magnifiche insenature rocciose, Cala Fico è la prima e col kayak passiamo tra i suoi angusti e spettacolari faraglioni.
La costa prosegue scoscesa e assolutamente solitaria sino allo scoglio dell’Immeruta.
Davanti a noi l’isola di Salina ci attende, ci dirigiamo verso Punta Grottazza, l’ago della bussola segna ora 286°. Poco più a destra si distingue il faro di Lingua.
La traversata è di cinque chilometri, poi ancora una mezz’ora di pagaiata per arrivare a Rinella di Salina. Dopo l’ottimo pranzo al ristorante del campeggio, c’è il tempo per una passeggiata lungo il verde e ripido sentiero del Vallonazzo, sino al sovrastante paese di Leni.
Nel frattempo Giorgio ed Aldo arrivano al porto.
L’aria di Salina gli ha fatto bene, Aldo non ha più la febbre e Giorgio sta benissimo, tant’è che, mentre noi eravamo a Lipari, era tornato a pagaiare nella baia di Pollara.
Legate le nostre imbarcazioni sulle barre dell’auto, ci prepariamo all’imbarco.
La nave parte da Rinella alle 18.30, fa scalo a Panarea e Stromboli e, dopo una notte di navigazione, alle sette del mattino del 30 aprile sbarchiamo a Napoli.
Avventura vissuta da: Andrea Giussani, Franco Ferrario, Giorgio Rigamonti, Aldo Milesi e lo scrivente Marco Ferrario.